[Se tutto va bene] a fine agosto Riccardo [lo chef ] sarà al suo quarto raccolto.
Di cosa? Di patate Dolada, quelle che Riccardo De Prà coltiva sul monte che ha dato il nome a questa vecchia varietà autoctona (e sì, anche al suo ristorante). Ho avuto la fortuna di assaggiarle e riassaggiarle e [se tutto va bene] vorrei proprio farlo ancora.
Ma cosa potrebbe andare male? vi starete chiedendo.
Me l’ha spiegato Riccardo: “il nostro è un sistema di agricoltura molto semplice ma anche molto oneroso come l’agricoltura biologica. E’ normale quello che facciamo, ma non lo è comparato all’altro tipo di agricoltura”.
Una frase che sintetizza tutto:
la difficoltà di trovare la terra da coltivare “ariamo un ex prato di un paio d’ettari che non sia stato coltivato l’anno prima (quindi devono cercare sempre nuovi terreni, e i proprietari non glieli danno volentieri perché hanno paura che chi va a tagliare l’erba interrompendo il ciclo smetta di farlo) e ci piantiamo i tuberi più piccoli del raccolto dell’anno prima”
la cura costante “quando la piantina è cresciuta una decina di centimetri, si lavora la terra in due modi, in dialetto diciamo “cavarghe terra” cioè muovere il terreno intorno e “darghe terra” ovvero coprire nuovamente il tubero, che se prende luce diventa verde e tossico”. Cosa più facile di quanto possa sembrare: basta un bel temporale a smuovere la terra… e infatti ogni anno vengono buttati un paio di quintali di patate “sporche” di verde
il faticoso lavoro manuale per non usare pesticidi “la patata ha due nemici, sotto terra un vermetto (il responsabile di quei buchini che ogni tanto vedete nelle patate bio) che l’anno scorso ci ha distrutto un intero campo, ma non possiamo farci nulla. E poi c’è la Dorifora, una specie di coccinellona che è pure carina. Bisogna rimuovere a mano le uova che deposita sotto le foglie perché quando si schiudono i nuovi nati iniziano a mangiarle voracemente, e se te ne accorgi in ritardo sono capaci di distruggere un campo in due giorni”.
Last but not least dietro a tutto ciò c’è un bel progetto: spingere i giovani agricoltori al recupero dei terreni montani abbandonati per salvaguardare il territorio e diffondere la coltivazione della patata Dolada (e ci stanno riuscendo! altri gruppi hanno iniziato a coltivarle). In questi anni, e fino a quando la cosa si assesterà, tutto il ricavato è stato reinvestito nella coltivazione di questa varietà (ne ho anche parlato a gennaio su l’Espresso).
Dopo tanta fatica le patate Dolada sopravvissute sono veramente eccellenti: hanno sapore intenso che ricorda il granoturco e consistenza sorprendente, ci mettono tantissimo a cuocere e poi restano compatte.
A me piacciono particolarmente arrosto, ma per Riccardo “il top sono bollite con la buccia e servite con del formaggio stagionato” ognuno si pela la propria patata, prende un pezzetto di formaggio e via.
E questa è la ricetta della zuppa di patate Dolada che faceva sua nonna Carolina:
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Pino Cuttaia (La Madia, Licata AG), Daniel Canzian (Daniel, Milano), Graziano Prest (Tivoli, Cortina d’Ampezzo), Akio Fujita (Aman Resort, Venezia) e tanti altri chef le hanno già servite nei loro ristoranti.
Le volete anche voi? Si possono acquistare anche in quantità “da famiglia” (minimo 9 kg – da conservare al buio in cantina), scrivete a Riccardo De Prà e vi arriveranno a casa: info@dolada.it
© Foto Strutturafine e ©Andrea D’Ottavio per la foto di Riccardo De Prà (grazie!)
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