Finalmente ieri, fermandomi a Genova con @Strutturafine per andare a trovare @Lindina80 nella storica Pasticceria Marescotti che gestisce insieme al suo fidanzato @AleCavo ho capito come mai i loro Amaretti di Voltaggio della (loro) Fabbrica Pasticceria Attilio Cavo mi piacciono così tanto. Anzi, sono fra i migliori che conosco. Morbidi ma consistenti, con una texture finissima e quella giusta umidità all’interno… “da piangere”, come disse con enfasi tanti anni fa a Cheese il relatore di un Laboratorio del Gusto parlando di una confettura (effettivamente strepitosa) che andava a pennello su un formaggio ;)
Per capire davvero perché sono così buoni ci sono voluti 10 minuti di spiega inarrestabile di @AleCavo che quando parla dei suoi amaretti è un fiume in piena (senza perdere il suo applomb anglosassone, naturalmente) e vorresti aver acceso il registratore perché sai che ti sarà impossibile memorizzare tutto.
Dunque @AleCavo, cioè Alessandro Cavo, è il diretto discendente di quell’Attilio creatore degli Amaretti di Voltaggio a metà Ottocento, marchio successivamente registrato da un lungimirante trisavolo. E’ Alessandro che adesso porta avanti la tradizione, e naturalmente l’integrità della ricetta. E quando Linda Celenza, cioè @Lindina80, parla di “massima attenzione alla materia prima italiana” intende molto più di quanto si possa immaginare. Non c’è partita di mandorle che giunga al laboratorio senza passare il vaglio di @AleCavo: “bisogna controllare che siano le vere pugliesi, piccole e saporite, perché noi usiamo solo quelle, e di prima qualità”.
Altri pensano che sia uno spreco, una mandorla di prima qualità da tritare in un impasto quando c’è la granella che costa molto meno? Se poi arriva dall’estero il prezzo scende precipitosamente… ed eccoci al punto. Mandorle, zucchero e albumi vengono lavorati in una trafilatrice, la mandorla intera (buona) contiene e conserva molto più olio: con la giusta lavorazione (guai a sbagliare lo spessore fra le trafile – basta mezzo giro di volano in più o in meno e cambia tutto – ma questo è un “segreto di fabbrica” naturalmente) resta nell’impasto, ed è l’olio di mandorla che equilibra l’umidità, rende gli amaretti morbidi e non li fa irrancidire: “durano” 60 giorni perché per fortuna non contengono conservanti. Su ognuno “c’è la pizzicata dei nostri pasticceri” spiega ancora Linda, 10 minuti di forno e infine vengono incartati a mano.
Naturalmente non sono la prima a riconoscerne la bontà: il marchio sull’incarto riporta le medaglie di riconoscimento ricevute durante le esposizioni del secolo scorso. Quindi da assaggiare, magari come fa @AleCavo: appena usciti dal forno.
©Foto mie e di Strutturafine
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