Il Buonumore – v.le Capponi, 1 ang. via Marco Polo – Viareggio (LU) – tel. +39 339 6920936

© Ristorante Il Buonumore, Viareggio

Pesci, un po’ “anche in faccia”, fortunatamente non tutti e 500. Mi verrebbe da riassumere così la nostra cena a Il Buonumore, ma non sarebbe comprensibile né, in fondo, giusto. Perché c’è del buono, e non va nascosto.

Amelio Fantoni è il proprietario del locale che conduce insieme alla figlia Simona (stabilmente in cucina), e di fatto factotum della sala nel senso che spiega, prende le comande e le porta in tavola. Niente carta, il menu è uno e uguale per tutti. E qui avrei preferito saperlo al telefono quando ho prenotato il tavolo ma va bene, chiudiamo un occhio. Il secondo lo chiudi quando la scelta del vino passa solo attraverso il colore e lo stato “bianco, rosso o rosé? fermo o mosso?” a quel punto l’animo è in pace e speri bene pensando ti arrivi un caraffone “della casa”. E invece no, è imbottigliato e prima di portartelo Amelio predispone sul tavolo due glacette (eravano in 8 quella sera) in modo che non ci si debbano passare le bottiglie per tutto il tavolo: apprezzabile.

© Ristorante Il Buonumore, Viareggio

Meno apprezzabili invece sono i toni e le argomentazioni, anche se a volte condivisibili, almeno in generale. Guardando successivamente in rete per capire meglio, ho trovato diversi commenti dove il patron viene definito “burbero” ma non sono d’accordo.

Non è nemmeno scortese, ma supponente sì e la cosa a lungo andare non rende simpatici. A ogni portata un po’ di didattica già sentita, come le specie ittiche poco conosciute che bisognerebbe comperare (e che naturalmente noi non consumiamo) e che lui offre nel suo locale perché sa riconoscere ben 500 specie autoctone che la gente non vuole perché compra solo branzini, orate ecc. mentre quanto sono buoni quei pescetti, freschi, saporiti e anche low price… “ma che ve lo dico a fare? Tanto voi…” conclude con tono sconsolato.

E invece noi siamo d’accordo con questo pensiero, che è poi quello che Slow Food porta avanti da molti anni, peccato che strida con l’offerta delle pescherie cittadine dove non si trova nemmeno la paranza… quindi un po’ bastonati (ma ce lo meritiamo) attendiamo incuriositi e a orecchie basse che arrivino questi piatti a base di pescetti locali, lieti in fondo del fatto che finalmente riusciremo a sentire il vero sapore del mare!

Col vino arrivano dei crostini al fegato di razza, onestamente poco impressionanti anche se Amelio ce li presenta con l’aria un po’ provocatoria del quinto quarto di pesce. Mah, assaggio e sospiro pensando nostalgicamente al fegato di pescatrice mangiato altrove… ma andiamo avanti.

© Cacciucco (foto a sinistra) e Pancotto - Ristorante Il Buonumore, Viareggio

Arriva un gradevole pancotto “insaporito dai polpetti freschi, che rilasciano la loro salinità imponendo di attendere la fine della cottura per capire se salare o meno il piatto” ci erudisce Amelio. Tutti muti affondiamo il cucchiaio (e nessuno osi chiedere il sale, ne mettiamo già troppo a casa!).

“In cottura c’è un movimento di liquidi, se si cuoce troppo il pesce diventa stopposo anche perché continua a cuocere fuori dal forno, quindi questo piatto non è né cotto né crudo, sta in forno 6 minuti a 180 gradi. Nel piatto cicala, pesce spada, squalo (leggero compiacimento del tono in attesa di una nostra reazione di sorpresa), perché lo sapete che mangiate squali, vero? Cos’è il palombo? (ma sì, dai, ce l’ha già insegnato Slow Food…) E poi una salsa di susina acerba e olio per sentire bene tutti i sapori.” Davvero indovinato l’accostamento, ecco il palombo magari anche no, stopposetto anche con la cottura perfetta. Le verdurine ottime invece, cotte a bassa temperatura si applaudono sempre.

© Ristorante Il Buonumore, Viareggio

Segue il piatto che mi è piaciuto di più: piccole sarde decapitate, belle cicciosette e dalla breve cottura, delicatissime, mare puro. Sarà che amo il pesce azzurro… “in carta da forno per 5 minuti” sono le istruzioni per replicare a casa.

Arriva il cacciucco. Un po’ tremo perché odio le lische e non avendo ancora visto nessuno degli ignoti 500 pesci locali temo di ritrovarne almeno una decina qui dentro… invece, sarà il buio o il pizzico di peperoncino, riconosco un altro pezzetto di palombo, seppia, sarda… il piatto è equilibrato e senza “spine” per fortuna. E un filetto di pesce non codificato occhieggia nel piatto, eccolo lì penso.

“Volete anche la pasta?” e perché no, ci sta e siamo curiosi. Arrivano delle linguine ahimé industriali (non sto a citarvi la marca ma da tanta cultura e attaccamento al territorio mi aspettavo lo spaghetto artigianale del Martelli) con peperoncino e cicale. Normali, in effetti rinunciabili anche perché le cicale erano di passaggio.

© Dessert del Ristorante Il Buonumore, Viareggio

Si chiude col dolce, un quadretto di torta al cioccolato e un bicchierino di crema.

Morale: Simona Fantoni è capace e rispetta l’integrità dei sapori, noi abbiamo mangiato gradevolmente con un normale rapporto prezzo-prestazione (il nostro conto si aggirava sui 42 euro a testa) però nessuno di noi ha gradito il tormentone didattico-cattedratico di Amelio e soprattutto mi domando: pesce spada, cicala, palombo (ops, squalo), seppia, gamberi, sarde… giusto quello che trovo in qualsiasi pescheria milanese. Probabilmente un pescetto autoctono l’abbiamo mangiato nel cacciucco. E gli altri 499?

©Foto mie

per chi vuole approfondire:

Ristorante Il Buonumore

“Mangiamoli Giusti” la guida free download di Slow Food all’acquisto consapevole del pesce

Pastificio Martelli

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