Come si sceglie l’olio extravergine di oliva? Amaro, dolce e piccante: sono pregi o difetti? E’ meglio denocciolato, non filtrato…? Possiamo fidarci dell’etichetta? A casa, come si conserva? L’ho chiesto a Luigi Caricato, guru dell’olio e direttore di Olio Officina, le risposte sono in questo ABC.

Amaro: è una caratteristica positiva dell’olio extravergine di oliva, che insieme al piccante è considerato un pregio. L’amaro dell’olio è inevitabile perché l’oliva è amara, e più l’oliva è verde più è presente l’amaro. Quando si estrae, l’olio cambia a seconda della cultivar ma anche della lavorazione: le olive pressate a pietra sono più dolci rispetto all’olio estratto con i metodi di estrazione moderni. L’amaro è un pregio, naturalmente dev’essere bilanciato e mai eccessivo.

Blend: miscelazione fra diversi oli, che possono essere diversi per origine, per cultivar o per gradi di maturazione dell’oliva.

Conservazione dal rivenditore: è il tasto dolente perché molti oli buoni nei magazzini dei supermercati vengono conservati male e quindi si alterano. Sullo scaffale la vita dell’olio è breve perché anche le luci al neon determinano un problema notevole. Sono stati fatti degli studi e anche nella bottiglia scura la luce diffusa presente sugli scaffali danneggia l’olio. Sarebbe necessario uno scaffale dedicato all’olio, a Merano ne ho trovato uno perfetto: quasi al buio, con la luce sufficiente per leggere l’etichetta e in più con la temperatura controllata. I grassi sono soggetti a ossidazione, hanno una vita breve e quindi la conservazione è fondamentale.

Conservazione a casa: molti tengono l’olio extravergine di oliva accanto a delle fonti di calore, magari poi perdono il tappo e lasciano la bottiglia aperta, e tutto questo è sbagliato… soprattutto in cucina (dove è meglio non conservarlo) anche se è comodo averlo a portata di mano mentre si cucina non va mai tenuto vicino ai fornelli, bisogna invece riporlo in basso dove la temperatura è inferiore e sempre col tappo chiuso perché, oltre a ossidarsi, l’olio assorbe tutti gli odori.

Cultivar: in Italia sono 538 quelle censite, quelle effettivamente presenti sul mercato sono una cinquantina ma quelle che dominano la scena sono soltanto una decina.

Denocciolato: c’è stato un periodo in cui era una moda che poi è passata perché non ha avuto successo, per Luigi Caricato gli oli migliori sono quelli col nocciolo perché godono di un’azione di drenaggio molto utile per l’estrazione.

Dolce: è un termine improprio perché l’olio non contiene zuccheri, ma viene utilizzato per indicare una sensazione gustativa. Più l’oliva è matura più l’olio è dolce.

Olio extravergine di oliva: l'ABC che ti aiuta a scegliere la tua prossima bottiglia di olio evo di qualità. [ info e dritte dell'oleologo @LuigiCaricato ] Condividi il Tweet

Etichetta: è un’autodichiarazione da parte dell’azienda, non tutela il consumatore anche se lo difende in maniera indiretta, nel senso che l’organismo di controllo fa dei prelievi e ne verifica l’attendibilità. Può capitare che l’etichetta di chi vuole imbrogliare sia migliore di quella di chi è onesto ma meno informato sulle leggi, e possa quindi sbagliare.

Fluidità: è la scorrevolezza dell’olio. Un olio che ha una buona fluidità lascia la bocca pulita e questa è una qualità, se invece un olio è troppo pastoso significa che non è proprio perfetto, quindi più è alta la fluidità e meglio è. Senza dimenticare che la fluidità dipende anche dalla zona di produzione, l’olio del Sud è più viscoso mentre quello del Nord è più fluido.

Fruttato: ne esistono due tipologie, il fruttato verde quando l’olio è fresco e ottenuto da olive verdi o nella fase di invaiatura (quando l’oliva diventa violacea ma la polpa è ancora acerba) ed è suddiviso in fruttato leggero, medio e intenso; e il fruttato maturo quando l’olio è ottenuto da olive mature, ha solitamente sentori di mandorla secca ed è la categoria di oli preferita dai francesi.

Monocultivar: sono interessanti perché offrono un quadro variegato della produzione, ma non tutte le cultivar hanno la stessa stabilità, per questo in certe zone ci sono dei blend naturali che danno oli più stabili che reggono di più. Però l’idea delle cultivar confezionate come tali è vincente perché permette di scoprire le diverse peculiarità.

Fra gli oli in purezza più interessanti: Frantoio, Moraiolo, Leccino, Carolea, Cellina di Nardò, Peranzana, Biancolilla, Nocellara, Tonda Iblea, Bosana, Casaliva, Coratina, Taggiasca e le varie cultivar di Ogliarola (galganica, fiorentina, barese, lucana…) che sono tantissime.

Non filtrato: va bene se viene consumato appena prodotto, ma la migliore soluzione è filtrato perché significa pulito: i residui, anche minime particelle di oliva, determinano dei processi ossidativi e fenomeni di idrolisi che rovinano l’olio evo, e poi anche col separatore restano sempre delle particelle d’acqua, mentre con la filtrazione si pulisce tutto.

Oliera al ristorante: vietata.

Oliera di casa: sarebbe sempre da evitare perché l’olio extravergine di oliva si altera. I motivi sono da ricercare nell’estetica delle oliere che hanno tappi che non chiudono mai alla perfezione e in più sono difficili da lavare, poi solitamente le oliere sono di vetro chiaro e quindi ci sono tutti gli elementi per rovinare l’olio. La cosa migliore è portare in tavola la bottiglia originaria dell’olio evo, adesso poi ce ne sono di così belle!

Piccante: lo percepiamo a livello tattile in bocca, ed è notevole soprattutto negli oli appena prodotti e quando le olive sono verdi, anche se ci sono cultivar come la Taggiasca che se raccolte verdi danno un olio piccante, ma sempre in maniera più tenue rispetto ad altre varietà.

P.S. a me piace degustare l’olio evo “à la volée” direttamente nel palmo della mano ;)

quando posso, mi piace assaggiare l'olio extravergine di oliva direttamente nel palmo della mano... hai mai provato? | foto Sandra Longinotti

©foto Sandra Longinotti

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