❝ Il Tête de Moine mi è piaciuto moltissimo, perché ha un grande equilibrio fra intensità di sapore e rotondità.❞

[Marco Rossi]

~ L’intervista è dopo la ricetta ~

Risotto al sake, Tête de Moine e ‘nduja

per 4 persone

  • 250 riso Carnaroli (io uso l’Acquerello)
  • 75 ml vino bianco 
  • mezza acciuga dissalata 
  • 4 g di sale 
  • 1/4 di scalogno
  • 48 g di Sake (Namazake o altro sake ricco di profumi)
  • 30 g + 16 rosette di Tête de Moine
  • 25 gr olio evo 
  • 2 pizzichi + qualche scaglia di katsuobushi (tonnetto essiccato)
  • 20 g di salsa di soia ai funghi Shiitake (o altra soia non troppo sapida)
  • 20 g di mascarpone 
  • 1 cucchiaino di amido di riso sciolto in acqua 
  • 4 riccioli piccolissimi di ‘nduja
  1. Soffriggi dolcemente lo scalogno in un pentolino, a fuoco molto basso. Aggiungi l’acciuga e falla sciogliere.
  2. Tosta il riso con poco olio in un’ampia casseruola. Sfuma col vino bianco, aggiungi il sale e lo scalogno già cotto. Porta il riso al dente, aggiungendo brodo di verdura senza sale.
  3. Mescola a freddo il sake con 30 g di Tête de Moine, 25 g di olio evo, 2 pizzichi di katsuobushi, la salsa di soia, il mascarpone e l’amido di riso sciolto nell’acqua. Versalo nel risotto e manteca a fuoco spento.
  4. Stendi il risotto al sake sui piatti piani, distribuisci su ognuno 4 rosette di Tête de Moine, delle piccole scaglie di ‘nduja e qualche scaglia di tonnetto katsuobushi (facoltativa).

Due chiacchiere con Marco

❝ Abbiamo tanti livelli di lavoro in cucina: uno, che è quello un po’ più tecnico, è sugli equilibri, sulle sensazioni morbide e dure. In questo caso l’intensità, la sapidità e la forza di un formaggio molto strutturato come questo sono la sensazione più dura, mentre la rotondità è data dal gusto di latte. E in questo caso è molto ben equilibrato.
E’ un formaggio stagionato importante quindi in cucina lo si utilizza sempre come elemento di forza, per questo poi per questo tipo di formaggi spesso in abbinamento si usa una composta di fichi o qualcosa che abbia della dolcezza.
Nel piatto lo usiamo come uno dei tre elementi che contrastano la tendenza dolce del riso. Noi in sostanza utilizziamo proprio lo schema dell’AIS, l’Associazione Italiana Sommelier. Loro hanno sviluppato l’equilibrio dei contrasti all’interno di un vino, e quindi acidità, sapidità ecc. ecc. e hanno fatto la stessa cosa per il cibo: io ho la loro tabella stampata nella mente e la utilizzo in maniera molto scientifica.

Per cui tu sai che il riso ha tendenza dolce, come tutti gli amidi, e immediatamente devi pensare a quali saranno i contraltari che lo rendano un piatto non da ricovero. Solitamente è il vino bianco a dare acidità al riso. In questo risotto è l’aromaticità del Sake e tre spunte forti: la ‘nduja, il Tête de Moine e il katsuobushi che ha sapidità e affumicatura. Questo è un po’ l’aspetto tecnico del piatto, sembra un po’ meno poetico, però in realtà è quello che fa sì che quando una persona lo mangia non capisce perché ma gli piace, sente in bocca che tutto funziona. E se gli viene voglia di mangiarne ancora un boccone, è sempre perché c’è quel tipo di equilibrio. Poi ci sono piatti dove ci sono tutte note che tendono verso la durezza o verso la morbidezza e funziona, ma sono casi abbastanza rari.
Un altro elemento che si valuta anche quando si degusta un vino è la persistenza, e quella del Tête de Moine è importante. E poi di questo formaggio mi piace molto il fatto che usando la girolle si arricci: mi ricorda il colletto di Pierrot, e mi fa tornare bambino.❞

Marco Rossi | La Mugnaia Ivrea

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