“a mano e a cuore – handmade, heartmade” è la prima frase che si legge sulla cover del suo catalogo. E poi dentro, che “f_rawdo è un amore di sempre per i tessuti, i colori e il cibo”.
Una sintesi così precisa fatta da Ilaria Petri, creatrice e titolare di f_rawdo, che sembra non ci sa altro da aggiungere, e invece…
E invece una bella chiacchierata ce la siamo fatta. Poi Ilaria mi ha mandato una sua “tovagliuccia” che ho utilizzato per il set della mia ricetta, le “Pizzette da aperitivo”, quelle che negli anni ’70 non potevano mai mancare a ogni festa che si rispettasse, e sono poi diventate un evergreen. Sono semplicissime da fare, bisogna solo conoscere il loro piccolo segreto. E anche Ilaria, che di segreti ne ha tanti, qualcuno in questa intervista ce lo svela :)
Nasci come acquarellista, cosa ti ha portata a dipingere su stoffa?
È stato per una serie di combinazioni, di fortunati e sfortunatissimi eventi.
Sono un’idealista e quando ho incontrato il maestro Folon nel 1993 mi ha cambiato un po’ la visione, se prima ero un’idealista con lui sono diventata anche una sognatrice. Si è creato un bellissimo legame, mi sono messa a fare, ricercare e soprattutto a studiare tanto dal punto di vista delle tecniche che in Accademia avevo appena assaggiato.
Poi con l’arrivo di mia figlia la mia creatività si è indirizzata verso di lei. Purtroppo il mio matrimonio con Andrea Salvetti, grande artista e designer, è durato molto poco perché nel 2017 è mancato, e questo grande dolore mi ha fatto ripensare a quello che amavamo, che ci aveva fatti unire e stare insieme. Ed era questo amore per l’arte e la cucina, lui aveva collaborato con i più grandi chef preparando degli oggetti come scultore e designer, ed io ho pensato a cosa fare con i miei colori.
Sono nate queste imprimiture sulla stoffa, proprio come fossero macchie. Mi piaceva tanto vedere come alle volte questi succhi rilasciati dalle verdure (NdR Ilaria dipinge con tinte naturali come terre, spezie e ortaggi) facessero delle sfumature così belle, alle volte così difficili da realizzare con l’acquerello. Invece questa contaminazione casuale che mi ha sempre affascinata, è diventata il mio trait d’union al mondo del food, che ci piaceva tanto e mi piace sempre molto.
Come nasce una tua creazione?
Tanti mi chiedono “ma perché non dipingi prima la stoffa e poi mi fai il grembiule?”
Perché non è così che mi funziona. Il grembiule per me è esattamente lo stesso supporto che può essere una tela 50×70 o di altre misure e forme, ma è solo quando ho il grembiule davanti che mi compare la storia. Non cambia assolutamente niente nell’atto creativo, l’unica differenza è che quella storia la posso indossare. Quell’oggetto usandolo prende poi delle declinazioni diverse, si usura e cambia, un po’ come fa il rame quando si ossida e ci ridà quel verde o turchese meraviglioso. E io con presunzione spero che usandolo diventi ancora più bello.
Quali sostanze naturali usi?
Quelle che posso reperire facilmente, a parte gli scarti dello zafferano meraviglioso di Croco e Smilace che anche a distanza di anni mi dà dei gialli e degli aranci straordinari, uso la robbia, la reseda, spesso anche le terre come l’ossido di zinco, il nero di vite, la barbabietola che è un colorante straordinario, il cavolo cappuccio viola…
Ovviamente per fissarli uso un metodo che ha po’ di chimica perché non basta il fissativo naturale. Lo dico sempre per correttezza, ma d’altronde sarebbe impensabile mettere in lavatrice un grembiule che una volta usato ha spesso bisogno di temperature elevate. Col tempo senza un buon fissativo le tinte svanirebbero, così invece si può lavare tranquillamente a 60 gradi.
Come scegli i tessuti?
Si parla sempre dei colori, ma anche i tessuti hanno la loro importanza. Vado a cercarli personalmente, uso fibre naturali come il lino crudo, la juta e lino, il cotone canvas, proprio la tela, invece di dipingerci un quadro ci faccio un abito da lavoro. Amo molto la canapa antica fatta a telaio, ne ho una dei primi del ‘900 colorata dai maestri tintori fiorentini che tengo lì come oro colato. In Toscana siamo fra i più grandi produttori di canapa ma non abbiamo la possibilità di lavorarla, quindi viene inviata in Paesi come la Romania per poi reimportarla, e i prezzi diventano importanti.
Chi compra i tuoi grembiuli da cucina?
Fra i miei clienti affezionati ci sono alcuni chef e tanti privati.
Fra i ristoratori c’è chi li ha ordinati per i ragazzi di sala, una chef mi ha confidato che si cambia e mette il mio grembiule quando entra in sala per parlare con gli ospiti, ma io le ho detto che dovrebbe indossarlo sempre, per trasformarlo col vissuto e renderlo ancora più unico.
Una volta lo chef Gabrio Dei mi ha chiesto 100 tovaglioli da plin e glieli ho fatti uno diverso dall’altro. Tutte storie, un puzzle che mi ha divertita tanto e molto impegnata, non lo ripeterei, l’ho fatto per lui perché per me è come un fratello.
Il fatto è questo, non riesco a fare le cose in serie, non mi interessa, lo dico sempre: non sono una decoratrice, se volete un decoratore non sono io. E questo riduce una parte di pubblico, resta chi comprende il mood, il lavoro che ci sta dietro, che per me è un voler far vivere l’arte nella quotidianità.
Cosa ritieni sia più importante?
La semplicità delle cose, l’imperfezione. Il maestro Folon lo diceva sempre “E’ unico, non sono uno più bello dell’altro”, ma sono l’unicità e soprattutto l’imperfezione a rendere unico l’oggetto.
Mi piace quest’idea che l’arte sfugga al controllo e bypassandolo diventi ancora più unica, perché se tieni tutto sotto una campana di vetro diventa tutto tanto statico. Penso agli affreschi di Giotto, pensa se il tempo non avesse tirato fuori l’ossido di rame!… ben venga tutto ciò che crea quella patina straordinaria.
Il tuo progetto per il futuro?
Il progetto futuro è andare avanti, far comprendere tutta questa cosa e tornare alla lentezza. Io dico sempre “con calma, con tranquillità”. Per me tutto subito non è possibile, devo andare a cercare la stoffa, la devo sentire, la devo toccare, la devo tagliare, la devo cucire, non sono una sarta e quindi ho altri tempi, la devo inventare e poi dipingere. Bisogna tornare all’attesa delle cose belle, al profumo di tante piccole cose. Sono utopista, âgée, ma la mia idea è quella di creare qualche cosa che qualcuno aspetta con amore.
CHI È ILARIA PETRI
Ilaria Petri è una pittrice, è una grande curiosa e le piace sperimentare.
Sperimenta da quando frequentava l’Accademia delle Belle Arti, e cerca sempre di contaminare. Per lei non è detto che un dipinto debba essere solo a olio, può anche metterci sopra qualcos’altro.
Questa trasformazione, questa contaminazione che la contraddistingue l’ha portata a cercare di unire tutto ciò che le piace. Si definisce una buongustaia, una perfezionista che ama l’imperfezione. O forse, come dice, “un’insoddisfatta, una ADHD nell’arte”.
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